Quale società?

Perché il Recovery Plan va finalizzato non con la società di consulenza, ma con la società civile.

Alessandro Fusacchia
4 min readMar 6, 2021
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, viale XX settembre a Roma (particolare)

È emerso nelle ultime ore che il Ministero dell’Economia e delle Finanze, presso cui il presidente Mario Draghi ha incardinato la Cabina di regia del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), ha sottoscritto un contratto con la società di consulenza McKinsey.

Il MEF ha chiarito un’ora fa di cosa si tratti (comunicato stampa n. 44 delle 16.20), parlando di una consulenza per realizzare uno studio comparato con i Piani di altri Paesi europei e di “supporto tecnico-operativo di project management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del piano”. Una frase che continua a voler dire tante cose diverse.

Più che aggiungere (ripetere?) tanti commenti delle ultime ore sulla quasi-gratuità della consulenza, sul tipo di assegnazione, sulla scelta di affidarsi a questa società o ad un’altra, mi pare che la vicenda McKinsey sia utile per riproporre alcune questioni strutturali che riguardano la PA e quindi il futuro prossimo di tutti noi.

Il caso MEF-McKinsey è difatti solo l’ultimo di una lunga sfilza. Di società che prestano consulenza e di società che prestano assistenza tecnica. Vale a dire che aiutano l’Amministrazione a fare quello che non riesce a fare da sola. Che male ci sarebbe — si potrebbe obiettare — se la cosa è fatta nel rispetto del Codice degli Appalti e in trasparenza?

Il problema è che questa prassi si è trasformata con gli anni in un progressivo svuotamento di stimoli e competenze dentro le pubbliche amministrazioni, tanto tutti sanno che poi ad un certo punto arrivano i men in black.

A vari livelli, i funzionari sono deresponsabilizzati, in molti casi letteralmente esautorati e affiancati da ‘amministrazione parallele’ e chiaramente, a fronte di ciò, nessuno ha più interesse ad investire nella PA: né per reclutare nuovo personale giovane, preparato al mondo contemporaneo e magari con l’esperienza internazionale che serve oggi; né tantomeno per formare il personale che già c’è dentro i Ministeri.

L’impoverimento delle nostre Pubbliche Amministrazioni centrali passa molto anche da questa cattiva abitudine di esternalizzare, che in alcuni casi e a certe condizioni può essere anche opportuna ma che come al solito in Italia si è trasformata da eccezione temporanea in nuova regola permanente. Perché ormai da noi — riprendendo le parole del comunicato del MEF — le necessarie competenze tecniche specialistiche non ci sono mai, il carico di lavoro è sempre anomalo, i tempi di chiusura sono sempre ristretti.

Questo è un punto non secondario di ogni ragionamento sul futuro prossimo della PA, tant’è che lo abbiamo denunciato e fatto oggetto di approfondimento e proposta nel quadro della campagna sulla rigenerazione della PA che come Movimenta, con il Forum Disuguaglianze Diversità e il Forum PA abbiamo lanciato alcune settimane fa, e da cui adesso serve ripartire.

Nel caso specifico, inoltre, c’è comunque un rilievo ulteriore da fare, legato al fatto che questa consulenza si applichi al PNRR.

Perché non stiamo parlando del progetto di un Ministero, ma dell’architrave di tutto il Paese per gli anni a venire.

Il PNRR è lo strumento attraverso il quale decideremo quali riforme fare (e come), quali risorse europee avremo a disposizione, che visione vorremo darci tutti insieme e come dovremo lavorare per dare forma a questa visione e declinarla in politiche pubbliche specifiche. Il PNRR andava e va proposto dal Governo, discusso col Parlamento, fatto oggetto di un serrato dialogo sociale non solo coi Sindacati e Confindustria ma con tutte le forze vive del Paese e quindi con le migliori organizzazioni della nostra società civile.

Qui, invece, non solo in Parlamento continuiamo con discussioni (e ben presto pareri formali) che forniremo su una bozza di PNRR vecchia — trattandosi del testo inviato alle Camere dall’ex premier Giuseppe Conte — ma adesso viene fuori che mentre noi alla Camera “ci esercitamo”, al MEF i super consulenti di McKinsey, per quanto restino fuori dagli aspetti decisionali “di valutazione e definizione dei diversi progetti di investimento e di riforma inerenti al Recovery Plan italiano”, seguono i vari filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano.

Capisco il cambio di Governo in corsa, la scadenza a breve che ci dà l’Europa, l’esigenza di fare veloci, ma tutto questo non può diventare un’altra volta un’altra scorciatoia.

C’è modo di fare bene anche diversamente. Serve esercitare una diversa cultura di governo e un diverso approccio alla Pubblica Amministrazione.

Il PNRR non è il compitino a casa che Bruxelles ci ha dato e a cui applicare i metodi di una società di consulenza. È il banco di prova per dimostrare, a noi stessi prima di tutto, che possiamo cambiare metodo, perché sono i metodi a determinare i risultati: le priorità, gli orientamenti.

Confido che il MEF e tutto il Governo abbiano più coraggio e si pongano il problema di una PA da ripensare e rinnovare profondamente e velocemente. Sarebbe la più importante eredità lasciata da questo Governo all’Italia del dopo-pandemia.

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Alessandro Fusacchia

Vice Presidente per l'Impatto Sociale di Translated. Curatore del Festival del Pensiero Contemporaneo (Piacenza) e della Pratolungo Unconference (Rieti).