L’emergenza educativa

Alessandro Fusacchia
6 min readDec 28, 2019

Quattro considerazioni attorno alle dimissioni di Lorenzo Fioramonti e ai nuovi incarichi a Lucia Azzolina e Gaetano Manfredi

Evento “Intelligenza Artificiale: investire in università, ricerca, cultura”, Roma, 21 novembre 2019

Non ero finora intervenuto pubblicamente sulle dimissioni di Lorenzo Fioramonti.

Ho deciso di farlo oggi, vedendo che la stampa continua a riportare il mio nome collegato a questa vicenda e dopo aver avuto ieri una lunga telefonata con lo stesso Fioramonti.

Mentre scrivevo le righe che seguono, ho appreso che il Presidente del Consiglio ha annunciato lo spacchettamento del MIUR in due ministeri (scuola da un lato, università e ricerca dall’altro) e la nomina a ministri, rispettivamente, dell’attuale sottosegretaria Lucia Azzolina e del presidente della CRUI Gaetano Manfredi, a cui mando le mie congratulazioni e un grande in bocca al lupo.

Hanno davanti una doppia missione tutt’altro che semplice, ma so che possono fare bene.

Ecco in 4 punti alcune considerazioni:

1.

Pochi giorni fa, con la collega Rossella Muroni, avevamo scritto pubblicamente per dire a Fioramonti di non dimettersi, ma di rilanciare. La questione che ha posto — vale a dire più risorse per costruire una società della conoscenza, e quindi per scuola, università e ricerca — era e resta sacrosanta. Qualcuno sta dicendo in queste ore “ma non sapeva che c’era il problema delle clausole IVA?”, ma è vero pure che ogni volta c’è sempre un’altra emergenza, e che però i soldi, quando servono — che sia per Alitalia o per la Banca Popolare di Bari — si trovano.

Scuola, università e ricerca rappresentano un’emergenza almeno quanto i cambiamenti climatici.

Serve creare consapevolezza diffusa nei cittadini che senza interventi massicci su questo fronte siamo solo destinati alla povertà, a crescenti disuguaglianze, a emigrazioni di massa dei nostri giovani ben più massicce di quelle già drammaticamente registrate negli ultimi anni. Non entro nella discussione “lo ha fatto davvero per questo o per chissà cos’altro?” né nella questione “aveva ottenuto comunque 2 miliardi su 3, o le cose non stanno in realtà così?”. Non mi interessano i processi alle intenzioni. Preferisco concentrarmi sulle conseguenze politiche della decisione di Fioramonti: le dimissioni hanno avuto il merito di mettere questo tema al centro del dibattito politico.

Da due giorni si parla di scuola — quando le scuole sono chiuse! — e, sorprendentemente, a parlarne non sono solo gli addetti ai lavori. Adesso dobbiamo fare in modo che la discussione non si esaurisca solo perché si esaurisce il dibattito sulle dimissioni.

2.

Il dibattito non può essere solo sul quanto. La domanda non si può ridurre a “quante risorse in più su scuola, università e ricerca?”, perché c’è una domanda altrettanto e ancora più importante: “per farci cosa?”. Ognuno su questo ha la sua persona lista della spesa, io credo che servano risorse per la modernizzazione e il rilancio della scuola, dell’università e della ricerca. Servono risorse per costruire una carriera docenti, perché certamente gli stipendi sono bassi (e non sarà certo il prossimo rinnovo del contratto a produrre un cambiamento epocale) ma è centrale cominciare a premiare capacità e impegno come avviene per ogni altra professione. Anche perché la scuola ha smesso da tempo di essere una collezione di lezioni frontali e deve diventare il principale hub socio-culturale della nostra società. Servono risorse per il tempo lungo a scuola, in particolare al Sud, per farne non un parcheggio pomeridiano ma il luogo dove si trasmette quel sapere che non è più ancillare ma essenziale per crescere cittadini responsabili e consapevoli, aiutando anche in molti casi le mamme a lavorare. Servono risorse per ripensare la scuola nelle aree interne e a maggiore rischio di spopolamento. Servono risorse per aiutare studentesse e studenti a fare esperienze fuori dalla scuola: ad esempio percorsi di alternanza fatti bene o periodi in un altro Paese europeo. Mi fermo qui, la lista non è chiaramente esaustiva. E non apro nemmeno il capitolo università e ricerca, dalle borse di studio alle residenze universitarie e in generale all’enorme questione del costo degli affitti per i fuori sede; dai fondi per mettere in campo una vera politica industriale della ricerca, a tutto quello che le università potrebbero fare come terza missione se questo loro ruolo di attori chiave nella società fosse adeguatamente valorizzato e finanziato. Credo che su questo stia (anche) a noi parlamentari evitare che il dibattito si esaurisca con i primi botti di Capodanno.

La Commissione VII della Camera non può permettersi di tornare al “business as usual” dopo quello che è successo.

La necessità che il Governo prenda un impegno serio su questo fronte non era un problema (solo) di Fioramonti. C’è un decreto scuola che si è concentrato sul reclutamento e che serviva a “mettere in sicurezza” il prossimo anno scolastico, dopo che abbiamo assistito lo scorso settembre ad un picco di supplenze mai avuto prima.

Adesso serve aprire un dibattito nazionale e definire quali interventi si rendano necessari per assicurare che il nostro sistema di istruzione e formazione sia adeguato a preparare ognuno/a dei nostri giovani a sentirsi preparato/a e “a casa propria” nel più piccolo paesino d’Italia così come ovunque nel mondo.

3.

Cosa farà Fioramonti adesso? Uscirà dai 5 Stelle per formare un gruppo suo? Lo valuterà e deciderà lui. Per quel che mi riguarda, ho già detto pubblicamente che non sono interessato ad una scissione dei 5 Stelle. Ritengo che Fioramonti possa fare un lavoro buono e utile dentro e fuori il Parlamento, dove tornerà a sedere come deputato, sul fronte dell’istruzione e anche sul tema più generale dello sviluppo sostenibile. Ci siamo confrontati in più occasioni su questi argomenti — su molte cose la vediamo in maniera simile, su altre meno — e continueremo a confrontarci.

Per il resto, quello a cui sto lavorando è noto e alla luce del sole. Non un partito, ma una sfida ambiziosa che parta da una agenda al rialzo.

Con altri 4 parlamentari — Rossella Muroni, Erasmo Palazzotto, Lia Quartapelle e Paolo Lattanzio — abbiamo infatti lanciato 5 proposte per il 2020 e annunciato che cercheremo il sostegno di altre/i colleghe/i e che realizzeremo un tour in Italia per presentarle, raccogliere commenti, ascoltare nuovi bisogni e ulteriori proposte.

Cominciamo a Palermo il 18/19 gennaio.

Quello che ci siamo dati è un metodo che punta a sparigliare e che chiede a tutti noi più coraggio. Anche qui, vedremo il nuovo anno cosa e dove ci porterà.

4.

Per quel che riguarda l’annuncio fatto dal presidente del Consiglio, ho fiducia che tanto con Lucia Azzolina quanto con Gaetano Manfredi si potrà aprire un confronto vero in seno al Parlamento. Conoscono entrambi bene gli ambiti che sono chiamati a guidare, e sono quindi nelle condizioni di girare subito la chiave e partire.

Ancora una volta a fare (o meno) la differenza sarà il metodo di lavoro che decideranno di adottare e le persone di cui decideranno di circondarsi.

Rispetto allo spacchettamento del MIUR, con il Ministero dell’istruzione da un lato e il Ministero dell’Università e della Ricerca dall’altro, io credo che sia una buona notizia, ma credo pure — avendo esperienza diretta del MIUR e del suo funzionamento — che sia utile suonare subito un paio di campanelli d’allarme. La buona notizia è questa: università e ricerca non saranno più sorelle minori. Ogni ministro arriva al MIUR con le migliori intenzioni. Ma finisce sempre che tutti si ritrovano ad occuparsi solo di scuola, per il livello di attenzione che la scuola italiana richiede e per tipo e numero di criticità che ogni giorno vanno affrontate. Un ministro dedicato — e un ministro competente e lungimirante come Gaetano Manfredi — non avrà adesso “distrazioni” e potrà portare avanti una visione per l’università e la ricerca.

I due campanelli d’allarme che mi sento di suonare subito sono invece questi:

(i)

anzitutto, attenzione a come verranno ripartiti e a seguire gestiti tutti quei capitoli che sono a cavallo tra scuola e università/ricerca. Ne cito solo uno, di cui troppo spesso in passato non ci si è occupati abbastanza, e che ritengo invece debba essere una priorità per gli anni a venire: l’orientamento delle ragazze e dei ragazzi, quell’accompagnamento che va fatto proprio nel passaggio dalla scuola al dopo — università, ma non solo; i due ministri si dovranno coordinare su questo, ma che sia la priorità di entrambi, invece che di nessuno;

(ii)

spacchettare un ministero è una cosa complessa. Molto. Soprattutto se il ministero in questione è un ministero con competenze, articolazioni territoriali, risorse ingenti, e tutto il resto. La complessità amministrativa potrebbe richiedere mesi, se non di più, per essere gestita. Soprattutto considerato che al MIUR siamo nel mezzo di una riorganizzazione amministrativa, su cui a questo punto torna un grande punto interrogativo. Perché gli interventi importanti che servono per scuola, università e ricerca non devono essere solo pensati e poi varati con nuove leggi. Devono essere attuati, bene e rapidamente. E il nostro è un Paese dove anche le cose buone muoiono tra i corridoi dei ministeri, su questa scrivania o dentro quel computer. Non ho dubbi, conoscendo entrambi, che sia Azzolina sia Manfredi abbiamo già chiara la loro prima priorità. Consiglio spassionatamente ad entrambi di farne la seconda, e di mettere al primo posto una macchina ministeriale che funziona.

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Alessandro Fusacchia

Vice Presidente per l'Impatto Sociale di Translated. Curatore del Festival del Pensiero Contemporaneo (Piacenza) e della Pratolungo Unconference (Rieti).