La storia non si ripete mai. Ma se si assomigliasse anche solo vagamente?

Alessandro Fusacchia
3 min readApr 15, 2020

La Repubblica nasce all’indomani della Seconda Guerra mondiale. Nasce con una Costituzione e un nuovo assetto istituzionale. Ma la politica che redige questa Costituzione e farà vivere queste istituzioni era nata trent’anni prima, all’indomani dell’altra Grande Guerra e dell’epidemia di influenza «spagnola» che aveva mietuto decine di milioni di vittime in tutto il mondo e oltre 500 mila solamente in Italia.

Per questo — sebbene abbia già detto come non mi piacciano i paragoni con la guerra e la ricostruzione, preferendo classificare ciò che stiamo vivendo collettivamente come malattia e cura (non solo sanitaria) — se dobbiamo riferirci ad un periodo post-bellico per trarne con cautela qualche considerazione, mi parrebbe fuorviante parlare di Piano Marshall e mi concentrerei, non solo per la fascinazione del parallelo con l’altra grande pandemia di un secolo fa, sugli anni 1919–1922 in cui nacquero i partiti del Novecento: i popolari che risposero all’Appello ai liberi e forti nel gennaio ’19; i comunisti che fondarono il PCI nel ’21; e sul finire del ’22 la nascita del Partito socialista unitario.

Non solo: fu l’approvazione di una legge proporzionale all’indomani della guerra a permettere alla concessione del suffragio universale avvenuto pochi anni prima dello scoppio delle ostilità di dispiegare tutti i suoi effetti di estensione del voto alle classi più povere — rurali e operaie –, con i risultati delle elezioni di novembre 1919 che diedero la maggioranza a popolari e socialisti. Insieme presero il 55%, ma non riuscirono a trovare un accordo e alla fine tornò a guidare il Governo l’eterno Giovanni Giolitti, esponente di quella borghesia liberale che aveva guidato il Paese dall’unità nazionale. Solo che adesso non aveva più i numeri, e neppure l’età.

Oggi i contadini si sono estinti e gli operai con contratti stabili e garantiti dai sindacati nelle poche fabbriche rimaste non sono più nella parte più bassa della piramide degli sfruttati. Ma chi si sta facendo carico di rappresentare i nuovi impoveriti: gli ultimi, i penultimi, i più vulnerabili che stanno rimanendo fuori da ogni attenzione? Questa domanda di rappresentanza verrà fuori in maniera dirompente nei mesi successivi alla fine del lockdown e alla riapertura. Quanto sapranno le forze politiche attualmente rappresentate in Parlamento dare voce, assorbire, incanalare? Quanto saranno (in)adeguate di fronte ai “verbalmente aggressivi e compatti”?

Luigi Sturzo, Antonio Gramsci, Giacomo Matteotti lucidamente videro quello che stava accadendo e ne presero le distanze (a caro prezzo). Erano giganti del pensiero, probabilmente meno dell’azione, ad ogni modo furono impotenti.

Noi oggi come ci stiamo preparando? Chi sta lavorando per promuovere quale collante sociale, con quali strumenti di aggregazione e quali ambizioni di rappresentanza? Cosa è davvero urgente mettere in cima alla lista per far sì che la società regga? O ci stiamo prefigurando che dopo una task force ne arriverà un’altra e alla fine richiameremo una qualche riserva della Repubblica — anche stavolta un liberale anziano — dotata di enorme credito presso i suoi pari ma di meno presa presso le masse, e che ci salveremo per il solo fatto di affidare a lui un governo di larghe intese?

Io non so se ci sarà uno sconquasso dei partiti e dei movimenti politici con cui questa legislatura è iniziata. Non so quanto sarà efficace la risposta al Covid-19, se crescerà la spinta per un altro governo.

So, però, che nessun governo può molto se diventa solo un fatto istituzionale, e neppure solo parlamentare — ammesso che si riesca ad un certo punto a ridare non dico centralità ma almeno un qualche ruolo al Parlamento. So che non basta una task force. So che serve una capacità diffusa di raccogliere istanze, mentre invece i partiti progressisti sono indeboliti a livello locale e le categorie sociali facilmente tornano ai riflessi corporativi in periodi storici come questo.

Sto facendo di tutto per non convincermi che la storia possa ripetersi davvero. Ma se si assomigliasse anche solo vagamente?

E noi, in questa storia, dove siamo?

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Lo scorso 9 aprile ho pubblicato su Wired un articolo (l’inizio di un pamphlet?) intitolato Mettetevi scomodi e composto di 16 lunghi paragrafi. Questo può essere considerato il paragrafo 17.

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Alessandro Fusacchia

Vice Presidente per l'Impatto Sociale di Translated. Curatore del Festival del Pensiero Contemporaneo (Piacenza) e della Pratolungo Unconference (Rieti).