Il futuro non ne può più di aspettare

Alessandro Fusacchia
9 min readJun 22, 2018

A seguire intervento che ho fatto al Comitato nazionale di Radicali Italiani sul futuro di +Europa, 22 giugno 2018.

Molto bello il video che abbiamo appena visto. Mi piace la frase con cui si chiude: “il futuro non ne può più di aspettare”.

Ringrazio Riccardo per la ricostruzione che ha fatto sulla vicenda di +Europa e per gli elementi che ci ha fornito.

Sarei molto tentato di condividere con voi le impressioni di queste prime settimane alla Camera, o commentare ciò che sta succedendo. Perché non c’è solo Salvini contro i rom, contro Saviano, contro i vaccini. C’è pure Di Maio che propone di rivedere gli appalti pubblici per tenere fuori le imprese di altri Paesi europei per promuovere un neo-statalismo autarchico che porta solo ulteriore impoverimento collettivo. Ma preferisco concentrarmi sul futuro di +Europa.

Ho voluto prendere la parola subito, non solo perché domani potrò seguire solo da remoto, ma perché ci tengo ad aggiungere un ragionamento chiaro in una sede ufficiale che si appresta a fare valutazioni, e prendere decisioni, di una certa portata.

Sono settimane che discutiamo del futuro di +Europa tra giri di mail in cui spesso non si capisce chi finisce in copia e chi no, o per whatsapp bilaterali, o per qualche incontro estemporaneo. Roba da fare concorrenza al Transatlantico della Camera dei Deputati.

Voglio quindi parlare di quello che c’è ufficialmente sul tavolo, ma anche delle dinamiche che si stanno sviluppando, coerentemente, spero, con quello che ho già detto in altri momenti. Non mi interessa stare a rifare la cronistoria di come siamo arrivati qui, voglio parlare dei prossimi mesi.

Perché i prossimi mesi saranno decisivi, per l’Italia e l’Europa, e noi dobbiamo starci. Ma dobbiamo starci in un certo modo, non in qualsiasi modo.

Tanto per cominciare a segnalare dove sto, io non credo che qualsiasi cosa possa andarci bene. Non mi ha mai convinto il “piuttosto che niente, meglio piuttosto”. No. Magari meglio niente. Meglio essere onesti con noi stessi, con gli elettori, con chi ancora oggi guarda a noi con speranza.

Sono venuto al Comitato di Radicali Italiani dicendomi che non siamo qui solo per decidere oppure no, bianco oppure nero, prendere oppure lasciare. Voglio dirmi che non è così.

Ed è per questo che sono giorni che continuo a chiedermi: quello che è sul tavolo — quello che i Radicali Italiani sono chiamati a discutere quanto vogliono e alla fine approvare — ha il livello di ambizione giusta? Ci permette di uscire dall’autoreferenzialità in cui siamo tutti rimasti intrappolati negli ultimi tre mesi?

Stiamo faticosamente aprendo alle iscrizioni individuali, per cui mi sono battuto dal giorno dopo le elezioni: i fondamentalisti di +Europa si iscriveranno, temo siano già meno di quelli che ci saremmo aspettati, avendola tirata così per le lunghe. Ma sul resto permane grande incertezza, che non aiuta a definire il progetto politico che uno dovrebbe sposare e sostenere. Questo continuare a comprare tempo — perché di questo stiamo parlando con la proposta che c’è sul tavolo — è il contrario di ciò che ci serve.

Ci sono molti elementi critici, ma mi concentro su 3 elementi che mi paiono più critici degli altri.

1Il primo riguarda la nuova governance: passiamo da una assemblea di 4, o se volete di 3 soggetti costituenti più uno (Gianfranco Spadaccia), ad un consiglio di 15 che decide a maggioranza. Ma la maggioranza funziona quando ognuno ci sta con la propria testa, quando chi partecipa concorre ogni volta a decidere secondo la propria sensibilità e volontà. Se i 15 sono 5+5+5 a casa mia si chiama manuale Cencelli. Lasciamo stare che daremo peso uguale a 3 realtà che numericamente ed in termini del proprio impegno in +Europa proprio eguali non sono state. Ma è chiaro che stiamo solo riproducendo le dinamiche vissute finora dall’Assemblea di +Europa, semplicemente togliendo il diritto di procedere “per squadra”, invece che “per cordata”. Non ho nulla contro, ma vorrei dire una cosa che tutti hanno in testa e che nessuno dice. La dico io, così risparmio l’onere a tutti: siamo consapevoli che se 2 su 3 degli attori che partecipano a questo nuovo schema hanno una intesa strutturale, allora si creano una maggioranza stabile e una minoranza stabile… Mi chiedo a cosa serva tutto questo. Se si fosse voluta superare l’unanimità sarebbe bastato dire che i 4 decidono a maggioranza, che si introduce la maggioranza li dentro: perché creare un organo che rischia di essere ridondante e di cui non si capisce il mandato?

In più, avremo un coordinatore e due vice, ma cosa devono fare questi due vice? Il coordinatore, do per scontato, non dovrà rendere conto ai suoi due vice, ma ci inventiamo un altro “contentino” da dare ai due soggetti che non esprimeranno il coordinatore. Un equilibrismo da fare invidia a Philippe Petit, il funambolo che a metà degli anni ’70 tirò una corda tra le due Torri gemelle e attraversò a piedi a 400m d’altezza.

Mi sono detto pure che tutto questo serve per dare una riconoscibilità a +Europa fuori dalla stanza, al mondo esterno… perché davvero da un punto di vista interno vi assicuro che altrimenti non si capisce.

Ma la faccia di +Europa tocca decidere bene come viene scelta, se è una faccia politica, che ci deve guidare fino a gennaio, che decide, che va in tv, che per certi aspetti dà e detta la linea. Perché i prossimi mesi decideranno nei fatti la capacità di +Europa di attrarre iscritti, di posizionarsi in un mercato politico molto complicato e in scomposizione, in cui io tutto sono disposto ad accettare tranne che continuiamo come se niente fosse successo il 4 marzo.

Lo ha ricordato prima il segretario Riccardo Magi: abbiamo fatto una campagna elettorale dicendo “Europa sì, anche così”. Non penso che possiamo continuare con questo adagio. La provocazione va bene per polarizzare. Adesso dobbiamo costruire una alternativa a vocazione maggioritaria, perché la nostra fetta di mercato politico la fuori c’è se sappiamo prendere atto di quello che è successo e correggere il tiro.

Siamo sempre bravi a ripetere “non sono gli elettori che non ci hanno capito; siamo noi che non stiamo capendo che segnali sono arrivati, e come rimetterci in gioco”. Ma pure questa è una formula vuota, la usiamo nei dibattiti… perché ce la siamo detta e ripetuta ma poi non mi pare abbiamo fatto nulla per rimetterci in gioco davvero.

2 Arrivo al secondo punto: il Congresso. A gennaio. A gennaio? Capisco che serva tempo per avere un po’ di iscritti, ma io preferisco un congresso di 500 iscritti a fine settembre, che un congresso di 1000 iscritti a fine gennaio. Perché ci serve subito una +Europa pienamente operativa e legittimata sulla base di una competizione tramite mozioni alternative, che fa la costruzione democratica di un nuovo soggetto politico

Perché no a gennaio? Perché sarebbe troppo tardi per fare alcunché che non sia bearsi della nostra esenzione per le europee, presentarsi, e sperare in Dio o nella sorte.

Noi dobbiamo allargare. Dobbiamo interloquire, capire cosa sta succedendo, chi sono gli altri che si stanno organizzando, e fare potenzialmente patti, accordi, annessioni, cessioni di sovranità.

Faccio un esempio su tutti: Italia in Comune di Federico Pizzarotti e Alessio Pascucci. Un partito giovane di amministratori civici di tutta Italia. Ci stanno simpatici o no? Pizzarotti avevo capito che ci stava particolarmente simpatico. Stanno tirando su una rete vera sui territori, e sono ben determinati. A settembre–ottobre scriveranno un programma, stanno parlando con tanti, decideranno alleanze e strategie per le europee… ammesso che non ci siano pure le politiche prima. E noi cosa diciamo: “no, ragazzi, con calma! Non vi fate pigliare dalla fretta, perché noi abbiamo il congresso a gennaio. Aspettate un attimo, per favore…”. Né queste interlocuzioni possono essere messe, senza Congresso, nelle mani di figure delegate per equilibrismo tutto interno.

3 Terzo ed ultimo punto macroscopico: non è affatto chiaro che ruolo avranno i tre soggetti fondatori verso il Congresso, al Congresso, e dopo il Congresso. Non pensiamo mica che mantengano un diritto di veto, vero? O una golden share? Lo chiedo per sapere, mica per altro. Per saperlo oggi, però, non dopo che l’Assemblea di +Europa avrà deciso, o ancora peggio: nei prossimi mesi, o a ridosso del Congresso. Questo punto è dirimente e farà tutta la differenza del futuro di +Europa.

E poi, c’è una generica clausola di apertura ad altre realtà: bene, anche qui quando? A gennaio? A Babbo (Natale) morto? Ma ci stiamo andando un po’ in giro: sono tutti in cerca di casa, tutti in cerca d’autore, adesso. A gennaio non ci sarà rimasto nessuno libero per uscire con noi.

Tutto questo, capirete, non è particolarmente incoraggiante.

Avremmo bisogno di costruire un nucleo duro che è frutto di ciò che siamo stati e degli aggiustamenti necessari a valle del 4 marzo. Di una cosa che si posiziona come chiaramente europea ma che dice anche come la vuole cambiare questa Europa, uscendo dalla formula degli Stati Uniti d’Europa, entrando nel merito di cosa non funziona, di cosa va dato ai cittadini

Avremmo bisogno di intercettare tante belle, piccole o grandi, avanguardie politiche, che stanno ragionando e nascendo. Varoufakis — o abbiamo paura di parlare con Varoufakis? Ho letto che alcuni radicali pensano che Varoufakis rischia di fare indirettamente il gioco dei sovranisti invece che aiutare a rafforzare un fronte pro-Europa. Io non la penso su tutto come Varoufakis, ma penso che nella divisione del mondo tra chi sta con Orban e chi sta con noi, Varoufakis sta dal lato di chi vuole salvare il progetto di integrazione europea. Oppure i ragazzi di VOLT, che sembrano solo dei bravi ragazzi e stanno invece diventando tanti ragazzi in giro per l’Europa. O anche loro non ci interessano?

Quattro mesi fa siamo stati la novità. La sorpresa. La cosa curiosa, interessante, nuova, diversa. Oggi non lo siamo più, e non torniamo ad esserlo se non la smettiamo di fare come il PD… che proietta fuori le sue paturnie interne, invece che portare dentro la ricchezza e lettura di ciò che sta accadendo nel mondo. Siamo un brand già vecchio, dato per morto per tre mesi e non abbiamo manco il 18%, ma solo il 2,5%. Siamo una roba scomparsa perché la fine di +Europa possiamo pure non decretarla noi, ma la decretano il silenzio, l’assenza, la nostra incapacità di esserci. La decretano quelli che potevano motivarsi e aiutarci a gestire il post voto e a cui noi abbiamo saputo offrire solo una doccia fredda, con cui noi siamo riusciti finora a condividere solo la nostra delusione, la nostra amarezza, la nostra frustrazione, la nostra incapacità di fare — per la seconda volta — un azzardo, invece che un calcolo perfettamente ragionato.

Nessuno ci sta chiedendo una governance arzigogolata che serve solo a superare — a far finta di superare — le nostre diffidenze reciproche, gli scorni, la mancanza di voglia e disponibilità di mettere generosamente in comune risorse preziose, perché scarse.

Ci serve uno slancio vero, e quindi ci serve:

  • un Congresso subito, a fine settembre;
  • un Congresso nel pieno dei poteri, dove mozioni diverse concorrono su più visioni del mondo che stanno però tutte dalla stessa parte del mondo. Un Congresso che lascia +Europa libera di giocarsela, e se non andrà, libera di fallire. Ma di fallire perché ci avrà provato nel migliore dei modi;
  • un coordinatore, uno. Che prepari il Congresso e quindi i prossimi tre mesi e funga da garante per tutti;
  • nel frattempo, una gestione politica che resta in capo all’Assemblea di +Europa, in raccordo con i parlamentari, così da non perdere altre occasioni di avere voce in Parlamento.

Senza uno slancio vero, senza una velocità vera, non so davvero cosa se ne faranno là fuori, di +Europa, se noi per primi, se io per primo, comincio a non capire più a cosa mai dovrebbe servire, in questo momento storico, in questo sconquasso generale.

Lasciatemi dire un’ultima cosa. Abbiamo il terrore del mandato elettorale: cosa mai diremo ai nostri elettori? Che figura ci facciamo? Se non facciamo +Europa — anche qualsiasi +Europa a qualsiasi costo — non staremo tradendo il voto degli elettori? Voglio rispondere in maniera molto netta a questa domanda.

Io ho chiesto fiducia in campagna elettorale, e ho offerto onestà intellettuale. Ho offerto una cosa diversa: discontinuità rispetto a tutto quello che c’era in giro. a e dirompente, netta. Abbiamo offerto una lettura del mondo, una prospettiva, una strategia. Qui, adesso, stiamo offfrendo solo passetti, solo tattica.

Il patto con gli elettori lo tradiamo se ci accontentiamo. Se tiriamo fuori la fotocopia sbiadita di quello che poteva essere +Europa.

Io penso che siamo ancora in tempo. Penso che siamo appena ancora in tempo.

Come tanti altri, non ho avuto modo di contribuire formalmente a disegnare il futuro di +Europa. Mi sono sfogato sui social, o chiacchierando con chi aveva voglia di raccontarmi, e di ascoltare. I miei dubbi, il mio entusiasmo, sono sul tavolo da tempo. Non serviva ascoltarli, non serviva approfittarne. Ma allora oggi c’è un onere vero che impone a chi può di non arrendersi al minimo comune denominatore.

Non è lecito chiedere a chi ha fatto +Europa di accontentarsi di qualcosa di diverso.

Che non so se servirebbe a noi, o a qualcuno di noi, ma certamente non servirebbe a capire un momento storico, ad essere noi parte viva di questo momento storico. Che non servirebbe all’Italia, figuriamoci all’Europa.

Mi spiace, ma non sono le nostre, le aspettative che devono essere riviste.

Io penso che il Comitato, questo Comitato, abbia l’opportunità unica — l’ultima — di rialzare la posta.

È tempo di fare i radicali.

Grazie.

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Alessandro Fusacchia

Vice Presidente per l'Impatto Sociale di Translated. Curatore del Festival del Pensiero Contemporaneo (Piacenza) e della Pratolungo Unconference (Rieti).