Concorsi pubblici: cosa sta succedendo e cosa va cambiato?

Alessandro Fusacchia
10 min readApr 25, 2021
Installazione scultorea dell’artista David McCracken a Bondi (Australia), 2013.

Partiamo da una constatazione: raramente negli ultimi vent’anni la Pubblica Amministrazione, e in particolare i percorsi di assunzione nel pubblico impiego, erano stati così al centro del dibattito pubblico e politico come in queste ultime settimane.

Non c’è da stupirsi, se consideriamo tre fattori:

1 Cominciamo solo adesso ad uscire da anni e anni di blocco del turnover. Decine di migliaia di funzionari pubblici sono andati nel tempo in pensione senza essere sostituiti. Si è creato un tappo e oggi c’è un’intera generazione di quarantenni che ritiene di aver ‘perso il turno’. È successo per mancanza di risorse? Direi che questo è stato anzitutto il risultato di una mancanza di visione e di coraggio di una classe politica nazionale che si rifiutava di bandire concorsi pubblici per paura di finire sotto attacco degli anti-casta, nel pieno di una retorica che vedeva le assunzioni negli uffici pubblici come mero esercizio di clientela politica. Adesso che le amministrazioni pubbliche del Paese sono in molti casi prossime al collasso — per insufficienza di personale stabile, precarizzazione di chi magari da anni ci lavora “come se” (per quanto di fatto con contratti tramite assistenze tecniche o mille altre formule indirette), e per assenza di formazione del personale in servizio — si torna ad assumere ma senza ancora lo scatto che servirebbe per ripensare davvero a quali figure ci sia bisogno di prendere dentro amministrazioni che devono disegnare e offrire ai cittadini una nuova generazione di servizi che consentano grazie alla tecnologia un’interazione facile e istantanea tra cittadini e PA.

2 Le prime misure sui concorsi pubblici adottate dal Governo presentano delle falle importanti — la più grossa probabilmente è il ricorso ai titoli di servizio e quindi all’esperienza professionale come dirimente per poter accedere ad un concorso per figure non altamente specializzate. Non stupisce che sulla questione dei titoli sia in corso una ribellione generazionale, in particolare al Sud, di tantissimi giovani che si sentono coi piedi legati ai blocchi di partenza, che si vedono tagliati fuori e che legittimamente aspirano a dimostrare il proprio valore attraverso un concorso pubblico con cui mettere le proprie passioni, energie e competenze al servizio dello Stato.

La ministra Carfagna ha dichiarato qualche giorno fa che sono arrivate più di 81 mila domande per il bando Sud. Le percentuali? Il 73% ha meno di 40 anni, il 55% è donna. Segniamocele: sarà interessante confrontarle con le percentuali relative ai 2800 vincitori. Nell’attesa, è abbastanza indiscutibile che se le mosse di Brunetta e del Governo paiono dettate da una sacrosanta intenzione (e necessità) di rendere veloce l’espletamento dei concorsi, ma che il risultato è stato finora quello di fare confusione tra fretta e urgenza. Non basta fare velocemente, occorre anche e anzitutto fare bene.

3 È aumentata nel corso di quest’ultimo anno, da un lato come conseguenza della pandemia, dall’altro in relazione al varo ormai imminente del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), la consapevolezza che senza una Pubblica Amministrazione rigenerata non c’è provvedimento che tenga. Perché tutto, anche la legge o l’incentivo migliore, muore nel cassetto (o nel pc) di una scrivania ministeriale, o nel passaggio tra due uffici, o in un ricorso di fronte al TAR. Per avere misure che arrivino velocemente e bene a cittadini e imprese, come i sostegni per affrontare questo periodo di Covid-19 o come quelle che saranno adottate per spendere i miliardi in arrivo dall’Europa, serve una PA radicalmente riformata e lo cominciano a capire non solo gli addetti ai lavori.

Alla luce di tutto questo, stanno succedendo alcune cose che non mi piacciono affatto.

Anche qui provo a dirlo con 3 punti.

1 Una rinata contrapposizione tra giovani e vecchi. Coi primi ormai quasi a dire che l’esperienza non conta e i secondi quasi a difendersi che solo con l’esperienza uno può (e sa) fare qualcosa. Quando i destinatari di una legge o di un qualsiasi provvedimento del Governo o del Parlamento si spaccano in due secondo una linea anagrafica, vuol dire che quella legge o quel provvedimento non vanno bene. Guai a mettere le generazioni una contro l’altra. Non è solo sbagliato, è anche pericoloso.

2 La seconda conseguenza di quello che sta accadendo in queste settimane è una crescente richiesta di ritorno al passato, una mitizzazione di quello che c’era prima, di una fantomatica età dell’oro dei concorsi pubblici di una volta. “Se questa è l’innovazione, ridateci la tradizione”, cominciano a dire in tanti. Ma anche qui, sbagliato e pericoloso: perché riesumare il passato sui concorsi pubblici vuol dire tornare a percorsi lenti e inadeguati; a decine di migliaia di candidati a fare prove preselettive in un rapporto tra numero di candidati e posti a bando che de facto aveva trasformato l’accesso alle fasi successive dei concorsi in quasi-lotterie; vuol dire tornare a concorsi che durano anni, di gente che si iscrive ancora imberbe e lo supera quando ormai ha i capelli bianchi; vuol dire ricorsi e controricorsi e danni collaterali tanto per chi partecipa quanto per le amministrazioni che bandiscono. Vuol dire un disallineamento significativo tra il perché quel concorso è stato bandito in quel modo e in quel momento e chi realmente viene assunto magari tanto tempo dopo. Anche qui, il fatto che troppe mosse fatte dal Governo sui concorsi pubblici non ci piacciano non vuol dire che dobbiamo tornare a chissà quale stagione illuminata, per la semplice ragione che quella stagione non è mai esistita e anzi i concorsi pubblici come mediamente venivano svolti non erano uno strumento di reclutamento nel pubblico impiego di cui un Paese civile potesse andare particolarmente fiero.

3 Terzo, ritorna il sempre serpeggiante sospetto che i concorsi vengano banditi in un certo modo per favorire qualcuno, in qualche caso nemmeno solo una categoria o un gruppo sociale, ma proprio tizio, caio e sempronia. Tutto questo non aiuta ad andare nella direzione giusta: che a mio avviso non può non prevedere una prova orale, un qualche confronto serio tra chi deve reclutare e chi si candida e che nessun algoritmo — e lo dico da coordinatore dell’Intergruppo parlamentare sull’intelligenza artificiale e da convinto sostenitore del contributo che la tecnologia può dare a snellire la burocrazia — potrà mai sostituire. Ma questo confronto autentico, serrato, tra chi seleziona e chi si candida e che arriva a valle di tutte le altre prove, non può non avere un elemento umano di valutazione, una ponderazione, una discrezionalità, che in alcun modo è arbitrio, ma semplicemente capacità (e assunzione di responsabilità) di capire e valutare chi realmente si ha davanti, quanto quella persona possa o non possa contribuire all’ufficio e alla mansione che si deve ricoprire, quanta innovazione potrà portare, come potrà inserirsi in quello specifico ambiente di lavoro. Negli ultimi dieci anni, per esperienza personale e diretta, ho visto i danni che può fare la deresponsabilizzazione di chi dentro le Pubbliche amministrazioni è chiamato a decidere e quindi a scegliere così come l’idea che si possano creare dei percorsi automatizzati e totalmente equi. Che sia per assegnare un appalto o per assumere nuove figure, è semplicemente un’idea sbagliata.

Ma allora, come rimediare e cosa fare?

Anche qui, 3 mosse, molto concrete, da fare urgentemente.

1 La prima è emendare, come in tanti chiedono — a partire dai giovani di #ugualiallapartenza — l’articolo 10 del DL 44 del 1 aprile 2021. Ci sarebbero più emendamenti da fare, a partire da quelli che servirebbero proprio per rimuovere questa allergia per la prova orale, dettata — lo ripeto — dalla bella intenzione (e necessità) di fare velocemente, ma anche figlia di una radicata diffidenza verso la autonoma e responsabile discrezionalità di chi è chiamato a valutare. Personalmente non penso che la pandemia e lo stato di emergenza possano essere usati per giustificare di fare a meno della prova orale, e credo invece che serva emendare l’ultima parte del comma 3 dell’articolo 10.

Di certo serve emendare i passaggi che si riferiscono ai titoli. In particolare, serve rimuovere il passaggio che prevede che la fase di valutazione dei titoli possa essere usata ai fini dell’ammissione alle successive fasi concorsuali. Si può al limite tenere, ma solo nel caso di concorsi relativi a profili altamente specializzati e tecnici, e a condizione che questo chiarimento venga accompagnato da indicazioni ministeriali esplicite che impediscano che la singola amministrazione il giorno dopo possa arbitrariamente decidere cosa intende per ‘altamente specializzato’, applicandola anche per posti non di questo tipo e aggirando di fatto la norma. In concreto serve quindi sopprimere o emendare significativamente la lettera c) del comma 1 dell’articolo 10, ma occorre anche intervenire negli stessi termini sul comma 3, laddove si dà la facoltà di ricorrere a questa fase di valutazione dei titoli nel caso di bandi già pubblicati ma per i quali non sia ancora stata svolta alcuna attività.

La valutazione dei titoli e dell’esperienza è invece importante e sacrosanto che resti in termini di punteggio finale, a valle e non a monte della procedura, sempre ponderata rispetto alla tipologia del posto bandito e chiarendo come la si misura. Perché se l’esperienza è giusto che faccia punteggio, allora è giusto che la faccia non “tanto al chilo” (nel nostro caso “tanto ad anno”) ma andando a verificare e valutare nel merito.

Infine, un altro emendamento va fatto al comma 5 dell’articolo 10, dove di fatto si esclude la possibilità di introdurre, nei concorsi che si svolgono nel periodo di stato di emergenza, corsi di formazione che abbiano un fine selettivo, rimandando tutto all’esame dei titoli e ad una prova scritta ed eventualmente, ma non obbligatoriamente, ad una prova orale. Penso che laddove erano stati previsti corsi di formazione selettivi lo si era fatto magari perché il profilo li richiedeva. Tagliarli così è arbitrario e vuol dire solo rimuovere il problema dalla fase concorsuale per ritrovarselo ingigantito successivamente, quando i vincitori del concorso prenderanno servizio e non saranno necessariamente capaci di svolgere al meglio il proprio compito.

2 Contestualmente a questa modifica, è urgente che il Governo emani delle linee guida per chiarire a tutte le amministrazioni pubbliche del Paese come fare e come non fare i bandi per i concorsi pubblici. La combinazione del bando per i 2800 posti al Sud e la pressoché contestuale approvazione del DL 44 con il suo articolo 10 ha mandato un segnale molto chiaro (e sbagliato) in tutta Italia: “da oggi i concorsi pubblici si fanno così, vale a dire ricorrendo alla facoltà prevista dal DL, tradotta pressappoco come noi a livello centrale abbiamo fatto vedere che si può fare con questo primo importante bando!”. Guai, guai, se le cose prendessero questa piega. Serve aggiustare il tiro subito, per evitare che spuntino in giro per l’Italia, dalla grande regione al piccolo comune, bandi monstre che riproducano le controverse previsioni generali del Bando Sud o del DL 44 nei bandi locali.

3 Infine, è bene fare le pulci al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza approvato dal Consiglio dei Ministri la scorsa notte e che oggi e domani sarà in Parlamento per essere approvato. Cosa prevede sulla PA e in particolare sul reclutamento nel pubblico impiego? Ci tornerò più nel dettaglio, ma intanto segnalo — a mo’ di esempio — che serve un chiarimento immediato da parte del Ministro Renato Brunetta che quanto previsto nella bozza del Piano girata informalmente nelle ultime 48 ore non significhi ciò che apparentemente significa. Si legge infatti che: “ai fini della realizzazione dei progetti del PNRR possono essere conclusi accordi con Università, centri di alta formazione e ordini professionali per favorire l’assunzione rapida dei migliori profili specialistici” e poi “tramite procedure analoghe viene selezionato un pool di esperti multidisciplinari per il supporto tecnico alle Amministrazioni centrali e locali nella implementazione degli investimenti e delle riforme previste dal Piano.” Il chiarimento deve… chiarire che una parte delle assunzioni di profili specialistici non verrà appaltata sic et simpliciter a università e ordini professionali, senza che neppure mi metta adesso a spiegare le conseguenze nefaste di quello che succederebbe in caso contrario; ma che, più semplicemente, università e ordini professionali collaboreranno con il Ministero per definire al massimo i profili che servono, non certo i nomi e cognomi (e anche così ce ne sarebbe abbastanza per vigilare). Lo dico perché il tema era già emerso, avevo chiesto chiarimento alla capa di gabinetto Marcella Panucci durante il confronto pubblico promosso con Carlo Mochi Sismondi, e però il testo del PNRR è oggettivamente ancora molto ambiguo e non va necessariamente nella direzione delle rassicurazioni che Panucci ci ha offerto. Il testo del PNRR citato è stato scritto male? Se fosse anche solo questo, scriviamolo meglio e chiariamolo, perché così davvero è troppo ambiguo.

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Ci sarebbe da dire e scrivere ancora, ad esempio sull’accoglienza e il mentoring per i neo-assunti, per far sì che non vengano “normalizzati” ma siano loro di pungolo e stimolo per la trasformazione degli uffici in cui arrivano; ci sarebbe da dire e scrivere sulla riorganizzazione interna e sulla formazione continua di tutti coloro che dentro una Pubblica Amministrazione lavorano da anni.

Ci sarebbe da dire che forse la strada non è solo fare concorsi enormi e poi decentrare e abolire la sincronicità, ma ogni volta che si può fare direttamente concorsi più piccoli, che aiuterebbe su entrambi i fronti del fare veloce e del farli bene, ma a condizione di avere un accompagnamento centrale da parte del Ministero della Pubblica Amministrazione.

Ci sarebbe altro eccome: perché come ripeto da mesi con Movimenta e assieme al Forum PA e al Forum Disuguaglianze Diversità, la PA ha bisogno di essere rigenerata sotto più profili, di cui quello dell’accesso e dei concorsi è solo uno, ancorché forse il più importante, degli aspetti. Tant’è che abbiamo prodotto un Vademecum per assumere velocemente e bene con indicazioni e storie di amministrazioni virtuose per ognuna delle fasi concorsuali.

Ci sarebbe altro, ma adesso questa è l’urgenza. Correggiamo rapidamente le storture e tutto quello che c’è da correggere, emendiamo il DL 44, proviamo a ristabilire un clima di fiducia e rimotiviamo tanti giovani e diversamente giovani a misurarsi con loro stessi, facendo in modo che i più capaci e preparati possano presto entrare e contribuire a rigenerare le amministrazioni pubbliche del nostro Paese.

Conta selezionare i migliori, ma ancor di più conta oggi mettere tutti nelle condizioni di dare il meglio di sé.

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Alessandro Fusacchia

Vice Presidente per l'Impatto Sociale di Translated. Curatore del Festival del Pensiero Contemporaneo (Piacenza) e della Pratolungo Unconference (Rieti).